Il diario di Maria, martedì e mercoledi

Martedì

Ore 7.55: al passaggio di Mauro, sempre il primo a scendere, la solita tifoseria di bambini intona “ferengì, ferengì” con un ritmo impeccabile, altro che curva sud! Jerusalem stamattina mi ha fatto due disegni (e me li ha anche autografati!), uno è un mioritratto: sono di profilo con il camice verde e le braccia con le mani verso l’alto, come dopo un lavaggio chirurgico. Stupendo. Mi guarda, sorride, saluta e riprende a disegnare. Disegna, colora, disegna. Custodisco con gelosia le sue opere, voglio portarle con me, mi aiuteranno a non dimenticare il suo sorriso e le sue matite colorate, quando tutto questo mi sarà lontano e sarò sopraffatta dal caos quotidiano della vita romana.

Anche oggi nessun morto in sala. Ormai sono diventata un’esperta di divaricatori, con le suture invece ho ancora qualche problema. Angelo pazientemente mi assiste, ma continuo a impiegare un’infinità di tempo per mettere un semplice punto. Stare in sala operatoria mi galvanizza e le mattinate volano veloci tra una tiroide e l’altra. Guardo e cerco di imparare. L’incisione è per me il momento più emozionante. Il gesto deciso del chirurgo, il bisturi che scivola veloce, il segno della violazione dell’integrità corporea. Nel pomeriggio viene rintracciato segnale wifi che incredibilmente persiste fino a sera, l’effetto è che passiamo il resto della giornata tutti presi dai vari smartphone, le comunicazioni tra noi sono azzerate, solo la musica dei Coldplay di sottofondo (messa da Claudio) riempie il silenzio fra noi. È il paradosso della comunicazione che annulla se stessa.

Sergio è andato a casa di Teckle, ormai è di famiglia lì, e torna da noi in tempo per la cena. Finalmente assaggio lo zaituni di cui avevo sentito parlare e che avevo visto sugli alberi durante il giro per i campi fatto con Giorgio i primi giorni. E’ buonissino, non me l’aspettavo, l’aspetto giallognolo e bitorzoluto non era promettente, mai fidarsi delle apparenze. La notte qui è magica, quando tutte le luci sono spente si vedono una marea di stelle, i primi giorni c’era la luna piena che le copriva in parte, le offuscava con la sua bellezza silenziosa. Adesso invece brillano che è una meraviglia.

Mercoledì

Il risveglio la mattina con una notizia inaspettata: c’è ancora wifi! Qualcuno nota la strana coincidenza ritorno di Letai-ritorno del wifi. Scendiamo giù in ospedale un po’ più tardi del solito, troppo presi da internet. Stavolta mi attrezzo di macchinetta fotografica per riprendere la tifoseria del mattino, a cui mi sono tanto affezionata.

Attività chirurgica tutta la mattinata, pane caldo a merenda (una droga) e pizza calda a pranzo, Btame Tsebò, molto buono, evviva il forno! Nella pausa tra un’operazione e l’altra una strana scena colpisce la nostra attenzione: dal vetro della finestra della sala odontoiatrica vediamo una donna che mentre viene visitata dal dentista locale, allatta il suo piccolo, formidable! Nel pomeriggio visita alla protetta di Claudio. Ci siamo messi d’accordo con Letai per partire alle 4, destinazione: Mekelle, casa dell’ex-lebbrosa. Le quattro diventano cinque a causa di una lunga riunione del personale con Wolderufael. Claudio ed io aspettiamo, nel frattempo anche il personale locale se ne va, si preparano per tornarsene col pulmino delle 5. Finalmente anche la riunione termina e Letai è pronta per partire con noi, andiamo con un jeeppone, Halemikel (soprannominato Schumacher da Claudio) ci fa da autista. La jeep attraversa una parte di Mekelle a me ancora non nota, arriviamo in un quartiere nuovo, in costruzione. Le case sono finite per metà e le strade sono sterrate. Sui cigli della strada su cui scendiamo ci sono delle fosse che ipotizzo fungano da fogna. Un ponticello costituito da una lastra di laminato ci permette di attraversare il fossato e raggiungere uno dei tanti cancelli. L’edificio in cui entriamo è costituito da un corridoio su cui affacciano diverse porte, ingressi per le varie case. La “casa” della nostra visitata è una piccola stanzina, entriamo da una porta a vetri con accanto una finestrella, non ci sono altre finestre. La pavimentazione è assente, semplice terra battuta. Naturalmente non vi arriva l’acqua, mi domando se i bidoni di plastica che avevo visto per strada con tutta la gente intorno servissero a rifornire il quartiere di acqua. La corrente elettrica invece c’è: una lampadina ed un’unica presa. Sulla sinistra c’è un letto singolo, occupa quasi metà stanza; ai piedi del letto un tavolo ricolmo di stoviglie e bustine. Claudio ed io, su invito della padrona di casa, ci sediamo sul letto cigolante; Letai si siede su un piccolo sgabellino di fronte a noi e si mette subito all’opera per preparare il caffè. Due bambini curiosi entrano in casa ad assistere alla scena inusuale, ci guardano, ci osservano. Vorrei dargli qualcosa, per fortuna Letai tira fuori dalla sua borsetta due caramelle. [Regola importante: oltre al passaporto e cellulare portare sempre con se almeno tre-quattro caramelle, non si sa mai, tornano sempre utili]. Osservo il lungo rito di preparazione del caffè, Letai è pratica e veloce, dall’ammasso di pentolami sotto il tavolo tira fuori una padellina che posiziona su di un fornelletto alimentato a brace, ci versa sopra i chicchi di caffè verdi che pian piano cominciano a imbrunirsi. Intanto la padrona di casa si muove fuori e dentro la casa, passando per i piccoli spazi rimasti, più volte la sua veste sfiora i carboni del fornelletto senza prendere fuoco, Claudio ed io ci scambiamo sguardi, un misto di incredulità e divertimento. Una volta tostati i chicchi, Letai ce ne fa “assaporare” il fumo, dalla tosse che si scatena si direbbe che i polmoni di Claudio non gradiscono molto. La nostra ospite porta fuori i chicchi per tostarli mentre Letai prepara i popcorn, immancabili. Guardo meglio la stanza, un unico poster è appeso alla parete, rappresenta Gesù e ha delle scritte in quello che suppongo essere tigrino, chiedo a Letai cosa dicono e Letai mi traduce la preghiera. Ci raggiunge anche Halemikel, forse richiamato dall’odore di caffè. Dopo un tempo che sembra essere infinito, nel quale la polvere di caffè è stata mescolata all’acqua bollente e il liquido ottenuto travasato secondo precisi passaggi in diversi contenitori, fino a farti perdere la consapevolezza, a te che guardi, di cosa realmente c’èdentro la genebà, il caffè è pronto. Buonissimo. Intanto fuori si è fatto buio ed è giunto il momento di tornare alla base. Salutiamo la donna, che ringrazia di cuore il suo benefattore, non c’è bisogno di parole, i suoi occhi parlano da soli.

Riaccompagnamo Letai a casa. Mekelle by night è un po’ un’avventura, forse per la guida spericolata di Halemikel, forse per l’assenza di illuminazione e le strade dissestate. La gente cammina tranquillamente sul ciglio della strada e ogni tanto dall’oscurità viene fuori qualche braccio o qualche zampa. Comunque arriviamo sani e salvi (e senza fare vittime!) a Quiha. La sera ci ritroviamo come sempre nell’atrio dove affacciano tutte le camere. È bello passare il tempo così. Niente televisione, il programma in onda stasera è un fresco cielo stellato. Guardarlo insieme ci unisce più di mille inutili parole.