Il diario di Maria, venerdì

Venerdì

Malinconia delle ultime operazioni. Mi mancherà il clima che c’è in sala operatoria. No, non il caldo soffocante che contribuiva ai miei cali pressori dei primi giorni, mi mancherà l’atmosfera di scherzosa collaborazione che ci ha accompagnato in questi giorni, la disponibilità di tutti ad aiutare ed insegnare. Non pensavo mi sarei trovata così a mio agio tra tutti questi adulti (Giorgio direbbe impropriamente “babbioni”), pensavo che l’età avrebbe segnato una sorta di divisione, non è stato così. Ho trovato nei miei compagni di “avventura” delle persone interessanti e tutte da scoprire, ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa, e non intendo solamente insegnamenti medici, ma anche e soprattutto insegnamenti di vita. Non capisco se sono io ad essere stata fortunata nel capitare in un gruppo così speciale, o se è questo posto che rende tutti migliori.

Giorgio, Massimo, Claudio, Sergio, Angelo, Mauro: grazie.

Dato che oggi abbiamo finito presto con le operazioni, Esmerat ne approfitta per portarci a vedere la preparazione dell’enghera. Sotto la supervisione della cuoca anch’io mi cimento: una prima enghera mi riesce un po’ bucherellata e non perfettamente tonda, ma con la seconda faccio progressi! Ho un futuro da cuoca etiope.

Pranziamo insieme su alla directory residence, come di solito facciamo solo il sabato e la domenica. Mi mancherà anche questa lunga tavolata. E il pane di qui!

Dopo pranzo è stata programmata una riunione con tutta la comunità. Il ritrovo è alla mensa dell’ospedale e quando entriamo ci sono già tante tazzine messe belle in ordine, pronte per essere riempite di caffè. Qualcuno è già arrivato, ma la maggior parte delle sedie sono ancora vuote. Armati di smartphone, un po’ tutti documentiamo la scena, noi fotografiamo loro e loro fotografano noi. La più paparazzata è una giovane donna con in braccio il figlio, un bimbetto di qualche mese. La mensa intanto si è più riempita e il primo giro di caffè e pop corn è passato, Claudio, da degno sostituto del primo trombone, inizia Il Discorso, Letai traduce. Esprime la nostra tristezza di partire, anche se credo sia già ben evidente dai nostri occhi. Ringrazia tutta la comunità per la collaborazione e anche loro, a turno, ricambiano saluti e ringraziamenti. Si ride insieme, intanto passa il secondo giro di caffè e qualcuno comincia a tornare alle proprie attività. Noi aspettiamo Wolderufael, anche con lui è stato fissato un ultimo colloquio. Ci ritroviamo nel suo studio, un po’ tetro. Anche la conversazione è meno allegra della precedente, si parla dei problemi (tanti) che ci sono e di come risolverli. D’altronde per poter migliorare è fondamentale poter parlare insieme delle difficoltà riscontrate.

Concluso il colloquio con Wolderufael passiamo il pomeriggio in giro per Mekelle, andiamo in pulmino, tutti tranne Mauro che decide di rimanere, viene anche Tekle con noi. Sergio e Massimo scendono all’Axum, un hotel di Mekelle, non particolarmente interessante da visitare, ma piuttosto comodo in quanto offre connessione internet. I due restano lì tutto il pomeriggio, mentre Tekle, Claudio, Angelo ed io facciamo un giro per i negozi di Mekelle. Rimaniamo particolarmente affascinati dai negozi di arredamento dallo stile tresh-chic. Vinta la tentazione di comprarci un mobile nero lucido con ornamenti dorati, andiamo a prenderci una birra con un ragazzo che lavorava al laboratorio dell’Hewo, conosciuto da Claudio nei precedenti viaggi.

Il ragazzo, simpatico, adesso lavora all’Ayder, ha deciso di lasciare l’Hewo quando lo stipendio cominciava ad essere troppo basso rispetto allo standard etiope. “Anch’io potrei andarmene e guadagnare di più” mi spiega Tekle, “Ma non abbandonerei mai l’Hewo. Spero e aspetto che presto lo stipendio aumenti”. È questo il vero problema attuale dell’Hewo: l’inflazione etiope, la crisi italiana e la svalutazione dell’euro hanno reso i finanziamenti dall’Italia, già in calando, sempre più inadeguati a provvedere per gli stipendi del personale che, secondo le indicazioni delle autorità Etiopi, andrebbero rivalutati di almeno il 30 %. Così alcuni di loro hanno deciso di trovare lavoro altrove, la maggior parte è rimasta, per amore dell’Hewo o per la difficoltà nel trovare un nuovo posto, ma la consapevolezza di essere sottopagati di certo non spinge a dare il meglio, e questo si sente e si vede all’interno della comunità. Nel tardo pomeriggio recuperiamo i due clienti dell’Axum e insieme andiamo al piazzale da cui partono i pulmini. “Quiha, Quiha, Quiha” grida ripetutamente uno degli autisti. È il richiamo per i passeggeri, qui non ci sono cartelli o insegne che ti spiegano dove è diretto ogni pulmino.

Anche stavolta viaggiamo mentre avanza il buio. Il nostro autista a quanto pare è convinto di essere a una gara di formula uno… “E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere” canta qualcuno di noi, “se poi è tanto difficile morire” proseguo.